Belgorod, il mostro degli abissi russo

È il sottomarino più grande del mondo, che sarà armato con siluri intercontinentali. Un'arma che ribalta la strategia nucleare, portando la sfida nella profondità del mare.
È una sorta di Godzilla sovietico. Un mostro marino sepolto dalla storia, dimenticato per trent’anni con la pancia gonfia di uova atomiche. Era un dinosauro della Guerra Fredda: troppo costoso per la Russia impoverita, troppo ingombrante in una stagione di pace. Ma adesso il mondo è cambiato e la Bestia è tornata in vita. Stiamo parlando del sottomarino nucleare K-329 Belgorod, il colosso degli abissi più lungo di tutti: ben 184 metri. Lo superano solo i battelli della classe Thyphoon, quelli che prima della caduta del Muro ispirarono il film “Caccia all’Ottobre Rosso”. Rispetto agli ordigni di quell’era, però, l’ultima creatura bellica del Cremlino ha subìto una metamorfosi: si presenta con artigli mai visti prima, destinati a terrorizzare l’Occidente. Armi che ribaltano le vecchie teorie del conflitto totale, perché promettono di scatenare l’Apocalisse non dal cielo ma dalla profondità dell’Oceano.


IL MOSTRO VENUTO DALL’URSS
Il sottomarino 664 nasce quando l’Urss è appena morta ma nessuno ne ha ancora compreso le conseguenze. I lavori nel cantiere Severodvinsk cominciano il 24 luglio 1992 e per un po’ procedono secondo i piani, tanto che viene avviato l’addestramento dell’equipaggio. Il progetto segue le linee degli Oscar II, grandi battelli dotati di missili cruise concepiti per il confronto con gli Stati Uniti. Sono mezzi enormi, con costi siderali mentre la Russia precipita nel vortice della crisi economica. Nel 1997 la costruzione viene fermata: non ci sono più soldi. L’anno dopo persino ufficiali e marinai vengono dispersi tra i reparti ancora attivi.
Poi un disastro riapre i giochi. Il 12 agosto 2000 il sottomarino Kursk scompare nel Mare di Barents con 118 uomini a bordo. Vladimir Putin è salito alla presidenza da pochi mesi e affronta la tragedia promettendo di restituire orgoglio alla flotta. Ci si ricorda così di quel bestione lasciato a metà nel cantiere: appartiene alla stessa classe del Kursk e Mosca ordina di completarlo per sostituire l’unità distrutta. Per quattro anni lo scheletro riprende vita, terminando lo scafo e gran parte delle strumentazioni. Ma è un’illusione. Nel 2006 il ministro della Difesa Ivanov decide che le priorità sono altre: i russi stanno affrontando l’onda lunga del terrorismo ceceno, non hanno fondi per la guerra nucleare. Per un po’ si tratta con l’India, interessata ad acquistare quel sommergibile quasi finito. Quindi l’oblio. Finché Mosca non torna a sentirsi una potenza mondiale.
LA MISSIONE SPECIALE
Nel 2012, vent’anni dopo l’avvio del cantiere, il sottomarino risorge. Sarà completato e avrà una nuova missione: il progetto 09852 non si chiama ancora Belgorov ma è chiaro che diventerà uno strumento per operazioni speciali, con un disegno completamente rivisto. Lo definiscono “battello di quinta generazione”. Le dimensioni sono impressionanti. Ha un dislocamento in emersione che sfiora le 20 mila tonnellate, pari a un incrociatore. E’ lungo 184 metri e largo 15. I due reattori nucleari e le due turbine a vapore gli permettono una velocità di 32 nodi ossia poco meno di 60 chilometri orari, con un’autonomia illimitata e la possibilità di restare immerso per 120 giorni di fila.
A stupire è soprattutto una delle caratteristiche: si ritiene che possa arrivare fino a 500 metri di profondità. E’ quasi il doppio di quella che possono raggiungere gli Ohio statunitensi, i colossi a propulsione nucleare della Us Navy, e al Pentagono cominciano a guardare con inquietudine alla risurrezione del dinosauro russo. Che bisogno c’è di scendere così in basso?
Ad aumentare la preoccupazione contribuisce il 9 novembre 2015 un normale servizio dei tg russi. Sono le immagini di un incontro tra Putin e i vertici delle forze armate: discutono i piani di potenziamento della Marina e la telecamera inquadra il disegno che un ufficiale sta esaminando. La Cia non crede che sia stato un errore, che un operatore distratto abbia filmato qualcosa di segretissimo senza che la censura lo cancellasse: più probabile che sia stata deliberatamente scelta questa modalità di basso profilo per trasmettere un messaggio all’America. Nel poster top secret si vede infatti la sagoma del Belgorod ma soprattutto si notano altre due macchine misteriose che lo affiancano.
IL SILURO DELL’APOCALISSE
La prima è chiaramente un siluro, di grandezza però incredibile: è lungo 24 metri, quattro volte più dei normali ordigni. Viene indicato come “Status 6”, poi ribattezzato Poseidon, e materializza un concetto totalmente nuovo: ha lo stesso compito dei missili intercontinentali, solo che lo svolge sott’acqua. Informazioni prive di conferma, basate su stime e supposizioni, gli accreditato prestazioni portentose. Procede in immersione per oltre diecimila chilometri e può cancellare una metropoli sulla costa, come New York o Las Angeles. Ha una doppia natura nucleare.
Siluro Poseidone. Foto del Ministero della Difesa russo
La testata da cento megatoni e un motore che alimenta un getto propulsore in grado di farlo filare a cento chilometri orari. Dati senza riscontro, che però non inficiano la sostanza della questione: la mega-torpedine è un incubo. Perché mentre la partenza di un missile genera un calore che viene avvistato dai satelliti, attivando i sistemi di difesa, non esiste invece modo di scoprire quello che accade nei fondali marini. E gli ingegneri russi vogliono fare muovere il Poseidon a quasi mille metri di profondità, dove neppure i sonar potrebbero segnalarne la presenza.
ATTACCO AI FONDALI
L’altro oggetto evidenziato accanto al Belgorod è una vecchia conoscenza: un sottomarino spia con una struttura unica, interamente forgiata in titanio. Ha il nome di un cartone animato popolare nell’Urss: il cavalluccio snodabile Losharik. All’interno ha una serie di comparti sferici, che ricordano la forma di quel cavallo-burattino e che garantiscono la resistenza anche alla massima pressione. E’ stato progettato per scendere a oltre duemila metri, sfidando gli inferi delle fosse oceaniche. Anche in questo caso si tratta di una creatura sovietica che ha preso forma negli anni successivi. Temutissima. A bordo ci sono venticinque specialisti che possono manipolare le arterie più delicate del pianeta: i cavi in fibra ottica dove scorre la linfa della società globalizzata, gli oleodotti e i gasdotti che trasportano l’energia vitale. Sono condotte fragili e fondamentali. Con cui il Losharik può interagire senza temere di venire scoperto o disturbato: in poche ore di attività clandestina è in grado di mettere a tacere una parte rilevante del traffico internet e telefonico tra le due sponde dell’Atlantico. O di spezzare il flusso di gas dalle piattaforme del Mare del Nord.
Il sottomarino nucleare Belgorod durante la cerimonia di lancio. SEVERODVINSK, RUSSIA - 23 APRILE 2019
L’intelligence americana comprende che il Belgorod farà da nave madre a queste diavolerie. Sarà la piattaforma per scatenare attacchi mai visti prima con i siluri transoceanici e per scardinare le reti chiave dell’economia occidentale. Il grande sottomarino che stava venendo completato infatti potrà agganciare sotto la pancia il Losharik e trasferirlo in giro per il mondo, rilasciandolo in prossimità degli obiettivi. E nel muso terrà sei Poseidon pronti al lancio. Covert Shores – il sito creato dall’esperto H I Sutton – lo ha presentato come il primo sottomarino con una doppia vocazione: quella tradizionale di pedina della deterrenza nucleare e quella di agente dell’intelligence subacquea. Compiti in apparenza contraddittori: il secondo richiede l’invisibilità; il primo invece deve testimoniare la capacità di reagire. Lo scafo mostra bulbi e portelli enigmatici, che sembrano indicare la presenza di strumentazioni innovative.
DUBBI E PAURE
Nel settembre 2018 il Belgorod è pronto. La Tass annuncia che presto comincerà “le spedizioni di ricerca scientifica nell’Artico”. E il 23 aprile 2019 c’è il varo solenne, alla presenza dell’equipaggio schierato. Con un dettaglio molto speciale: la doppia elica viene coperta per impedire di fotografarla. I primi test in mare però durano pochissimo e viene riportato in cantiere. Nei comandi della Nato ai timori per il nuovo “mostro degli abissi” si alterna presto la perplessità per le capacità tecnologiche russe. Molte delle ambizioni propagandate dal Cremlino negli ultimi anni infatti si sono dimostrate velleitarie: proiettano un’aura di potenza lontana dalla realtà. Il mega-siluro Poseidon pone agli ingegneri una serie di sfide molto ardite. Anzitutto bisogna miniaturizzare il propulsore nucleare, molto più piccolo di qualsiasi altro in servizio. Poi vanno inventati sistemi di navigazione tascabili che garantiscano la rotta nella profondità subacquea.
Insomma, ci sono dubbi sul fatto che possa diventare operativo in tempi brevi.
La sfortuna invece accompagna il sottomarino spia Losharik. Nel luglio 2019 un incendio ha rischiato di distruggerlo, uccidendo quattordici uomini dell’equipaggio. Adesso è in corso di riparazione. Ci sono voci su un gemello in fase di costruzione, ma sembra difficile che il Belgorod possa contare sulla sua vedetta almeno per un paio d’anni. Non è escluso che venga adattato ad operare con un altro mini-sottomarino, di prestazioni però molto inferiori al Losharik.
Non a caso, è stato Putin in persona a presentare il progetto dei micidiali Poseidon, sottolineando la capacità di colpire su qualunque costa. L’obiettivo è chiaro: mentre il Pentagono sta completando la rete di difesa anti-missile, installando le centrali di avvistamento anche negli ex Paesi del Patto di Varsavia entrati oggi nella Nato, il Cremlino punta a ribaltare il tavolo. Spostando la minaccia dal cielo all’abisso marino. Dove oggi l’Occidente è cieco. Un altro passo avanti nella nuova folle corsa al riarmo nucleare.