Non è un gioco. Indagine sul lavoro minorile in Italia

Il lavoro minorile è un fenomeno globale che non risparmia l’Italia e mette a repentaglio i diritti fondamentali di bambine, bambini e adolescenti. Oltre al rischio per la propria salute ed il proprio benessere psicofisico, i bambini e gli adolescenti che iniziano a lavorare prima dell’età legale consentita, senza alcuna tutela giuridica, rischiano di vedere compromesso, se non interrotto, il loro percorso di apprendimento e di sviluppo, alimentando il circolo vizioso di povertà ed esclusione, anche in età adulta.

La mancanza di una rilevazione sistemica di dati sul fenomeno, ha spinto Save the Children Italia a condurre una nuova indagine sul lavoro minorile, dopo  quella fatta 10 anni fa , per definirne i contorni, comprenderne le caratteristiche, l’evoluzione nel tempo e le connessioni con la dispersione scolastica, oltra ad indagare la relazione tra lavoro minorile e coinvolgimento nel circuito della giustizia minorile.

Introduzione

livello internazionale sono diverse le misure legislative e politiche volte a garantire a ciascun minore “di essere protetto contro lo sfruttamento economico e di non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale”, come richiede l’articolo 32 della  Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza . Tra queste, la Convenzione ILO n.138 del 1973 che stabilisce l’età minima in cui gli adolescenti possono essere legalmente impiegati in attività lavorative, la Convenzione ILO n. 182 del 1999 che definisce le forme peggiori di lavoro minorile che necessitano di azioni di contrasto immediate, e l’Agenda 2030 che richiama alla necessità di intraprendere azioni ed adottare misure per porre fine al lavoro minorile in tutte le sue forme entro il 2025.

Nonostante la maggior parte dei Paesi del mondo abbia ratificato entrambe le convenzioni e adottato gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 2030, il fenomeno del lavoro minorile è ancora molto diffuso. Nel 2020 circa 160 milioni di bambine, bambini e adolescenti tra i 5 e i 17 anni erano costretti a lavorare. Di questi, ben 79 milioni erano occupati in lavori pericolosi, che possono danneggiare la salute e lo sviluppo psicofisico e morale.

Il lavoro minorile è un fenomeno complesso, troppo spesso sommerso e difficile da intercettare nel mondo. Per questo motivo è fondamentale un impegno collettivo da parte di istituzioni, agenzie educative, servizi sociali, Terzo Settore e anche mondo profit, per prevenirlo e contrastarlo, a tutela dei diritti di bambine, bambini e adolescenti.

In Italia la legge stabilisce la possibilità per gli adolescenti di iniziare a lavorare a 15 anni, a condizione di aver assolto l’obbligo scolastico di 10 anni, elemento che sposta quindi l’effettiva possibilità di accesso al mondo del lavoro al compimento del sedicesimo anno di età.

Secondo la ricerca condotta da Save the Children e Associazione Bruno Trentin (ora Fondazione Di Vittorio), nel 2013 i minorenni tra i 7 e i 15 anni che avevano sperimentato una forma di lavoro minorile nel Paese erano circa 340mila, quasi il 7% della popolazione di riferimento. I minori che lavorano prima dell’età legale consentita rischiano di compromettere i loro percorsi educativi e di crescita, alimentando la dispersione scolastica, già pari, nel nostro paese, al 12,7%, contro una media europea del 9,7%.

La crisi economica e l’aumento della povertà, inoltre, rischiano di far crescere ancora il numero di minori costretti a lavorare prima dell’età legale consentita, spingendone molti verso le forme di sfruttamento più intense. Al contempo, la mancanza nel nostro Paese di una rilevazione statistica sistematica sul lavoro minorile nega la possibilità di definirne più precisamente i contorni e di intraprendere azioni efficaci di contrasto.

Lavoro minorile: un'indagine quantitativa

Per lavoro minorile nel rapporto si intendono si intende il coinvolgimento in attività produttive, sia di tipo economico che domestico (esclusi i piccoli lavoretti domestici), svolte dai minori di 16 anni sia durante l’anno precedente alla realizzazione dell’indagine (tra dicembre 2022 e febbraio 2023) che in passato. In base a questa definizione, si stima che siano 336mila i minorenni di età compresa fra i 7 e i 15 anni che hanno avuto esperienza di lavoro in Italia, il 6,8% della popolazione di questa età, e tra i 14-15enni che hanno lavorato nell’anno precedente quasi uno su tre (il 27,8%) ha svolto lavori particolarmente dannosi per il proprio percorso di crescita, perché svolto durante le ore notturne (dalle 22 alle 7 del mattino seguente) , perché considerato da loro stessi molto o moderatamente pericoloso, oppure ancora perché svolto in modo continuativo (almeno 4 ore o più volte la settimana) durante il periodo scolastico.

Tra i 14-15enni, il 18,2% ha lavorato durante l’anno precedente l’indagine mentre l’1,8%, pur non avendo lavorato nell’anno precedente lo ha fatto in passato. Il 20% dei 14-15enni, quindi, ha lavorato prima dell’età legale consentita. Tra questi, oltre la metà (53,8%) ha iniziato a lavorare dopo i 13 anni, il 23,8% a 13 anni, l’11,1% a 12 anni e una percentuale non trascurabile ha iniziato a lavorare quando aveva 11 anni (4,7%) o prima (6,6%)

Età di inizio del primo lavoro, 14-15enni. Anni 2022-2023. Fonte: Save the Children

La maggioranza dei 14-15enni che sperimenta o ha sperimentato forme di lavoro minorile è composta da maschi (il 65,4%) e il 5,7% ha un background migratorio.

Tra i 14-15enni che lavorano o hanno lavorato nell’ultimo anno precedente l’indagine, la maggior parte ha svolto attività nel settore della ristorazione (25,9%), nei negozi e nelle attività commerciali (16,2%) e in campagna (9,1%).

Tra i 14-15enni che lavorano o hanno lavorato nell’anno precedente, più di 3 su 10 lo hanno fatto con i genitori (38,3%), e poco più di uno su cinque con amici (22,4%), il 21,1% ha lavorato con altre persone, il 19,2% con parenti, il 7,6% con fratelli e sorelle, l’11,3% ha lavorato per conto suo e il 6,9% con altri ragazzi/e minori di 16 anni.

Circa uno su tre, tra i 14-15enni con esperienza di lavoro minorile nell'ultimo anno, durante l’esperienza lavorativa è impegnato tutti i giorni e quasi la metà ha svolto attività lavorative per 4 o più ore durante la giornata. Il 32,9% lavora dalle 2 alle 4 ore giornaliere e il 19,1% per due ore o meno.

La metà dei minori con esperienza di lavoro minorile (il 50,4%) dichiara di lavorare o aver lavorato tra le 7 e le 13, il 49,9% al pomeriggio dalle 15 alle 20, cioè in orari che coincidono con il tempo scuola o studio. Particolarmente preoccupante il dato relativo al lavoro durante le ore serali, con quasi un minore su cinque (19,9%) che afferma di lavorare o aver lavorato dalle 20 alle 22 e quasi uno su dieci (8,9%) tra le 22 e le 7 del mattino.

I minori che svolgono attività lavorative in modo continuativo vivono percorsi educativi particolarmente accidentati. Dall’indagine è emerso che tra i 14-15enni intervistati che lavorano, quasi 1 su 3 (29,9%) lo fa durante i giorni di scuola, tra questi il 4,9% salta le lezioni per lavorare. Il restante 70,1%, invece, afferma di lavorare o aver lavorato solo nei giorni festivi o durante i periodi di vacanza.

Per quanto riguarda la possibilità di lavorare e studiare insieme, se oltre la metà dei minori con esperienza di lavoro minorile afferma di riuscire a farlo senza problemi, in quasi un caso su due (40,4%) gli intervistati dichiarano che il lavoro incide sulla possibilità di studiare.

Il lavoro minorile, riducendo il tempo dedicato allo studio, rischia dunque di compromettere i percorsi educativi dei minorenni.

I motivi che spingono i minori ad intraprendere percorsi di lavoro prima dell’età legale consentita sono molteplici. Oltre alla possibilità di avere soldi per sé (56,3%), vi è la necessità o volontà di offrire un aiuto materiale ai genitori (32,6%) o contribuire al sostegno economico della famiglia (5,9%). Circa due minori su cinque (38,5%), poi, affermano di lavorare per il piacere di farlo mentre una minima parte (meno dell’1%) dichiara di lavorare per evitare di andare a scuola.

Di fronte a questi giudizi è quindi necessario interrogarsi sulle possibilità di rispondere in modo efficace ai bisogni formativi espressi da questi adolescenti e preadolescenti. È infatti importante sottolineare che la maggioranza dei minori che hanno lavorato prima dell’età legale consentita sa cosa sono i tirocini e la formazione al lavoro (74,9%) ma allo stesso tempo meno della metà sa cos’è un curriculum (44,2%).

Pareri ed esperienze di operatori, ragazzi e testimoni privilegiati

Oltre ad indagare gli aspetti quantitativi legati al fenomeno del lavoro minorile, il Rapporto ne ha esplorato anche alcuni aspetti qualitativi, analizzando i modi in cui il fenomeno del lavoro minorile si manifesta sui territori, con attenzione anche alle forme più dannose per lo sviluppo e il benessere del minore, e come, nei percorsi degli adolescenti, questo si intrecci con l’abbandono scolastico, il possibile scivolamento nella condizione di NEET, la povertà educativa e la marginalità sociale.

Secondo gli interlocutori che hanno partecipato ai quattro focus group – che avevano lo scopo di ricostruire le dinamiche osservabili in quattro territori urbani, Ragusa-Vittoria, Napoli, Prato e Treviso – è in corso una complessiva sottostima sociale del fenomeno del lavoro minorile nelle sue dimensioni ed è stata sottolineata anche la necessità di monitorare il fenomeno e di immaginare metodi di tracciamento del percorso dei giovani.

Abbiamo già futuri NEET nei nostri centri educativi. Ragazzi che non sanno immaginare il loro futuro. (Operatore)

Aumenta anche la preoccupazione per la dispersione scolastica, sia implicita che esplicita, e, dalle interlocuzioni nei territori, è emersa la difficoltà del sistema scolastico italiano nel mettere in campo interventi in grado di innovare la didattica e relazionarsi con il settore educativo non formale.

Gli operatori e le operatrici coinvolte nell’analisi qualitativa sostengono che il fenomeno del lavoro minorile vada letto nel quadro del disorientamento giovanile e della crescente frammentazione dei percorsi post-scolastici.

Negli ultimi 4-5 anni cambia l’identikit del disperso: vedo una crescente fragilità psicologica, una certa anti-socialità, a volte un vero e proprio isolamento; all’opposizione – quelli che facevano casino in classe – si sostituisce il disinteresse; semplicemente chiedono di essere lasciati in casa (Insegnante)

In altre 4 città è stata condotta anche una peer research, indagando le prospettive e i vissuti personali di giovani con esperienza diretta di lavoro minorile oppure capaci, come testimoni informati, di restituire storie di esperienze di coetanei a partire dai contesti che attraversano nella vita quotidiana.

Per quanto riguarda gli elementi motivazionali che spingono a iniziare a lavorare prima dell’età legalmente consentita, le necessità economiche emergono soprattutto in rapporto alla peculiarità della situazione di molti giovani migranti, soprattutto non accompagnati, che dipingono la loro condizione come radicalmente diversa rispetto a quella dei coetanei italiani.

Per noi è diverso dai ragazzi italiani, abbiamo bisogno di lavorare il prima possibile (…) la maggior parte è orfana di padre nel Paese di origine, per cui è costretto a lavorare per mandare i soldi e pagare le spese mensili della famiglia. (M. 18 anni, Roma)

Sono più frequenti le situazioni in cui lavoro e scuola sono combinati, per diversi motivi. Soprattutto per le ragazze è più frequente essere protagoniste di percorsi in cui a prevalere è l’impegno e ad essere sacrificata è, in primo luogo, la socialità e più in generale il tempo di vita dell’adolescenza.

Facevo cose stancanti per una ragazzina di 13 anni (…) lo puoi fare per qualche tot di giorni ma dopo un po’ crolli, non ce la fai. Se sei una persona che comunque è abituata a questo tipo di routine sì, ma dopo un po’ crolli, non hai una vita sociale, nel senso non hai amici, non puoi uscire, quindi la tua adolescenza non te la puoi godere. (F. 17 anni, Palermo)

E tra gli intervistati ce ne sono anche diversi che raccontano di un’educazione ricevuta secondo una sorta di valorizzazione del sacrificio.

I ragazzi hanno bisogno (…) [che] i genitori gli insegnino a lavorare e anche a impegnarsi a scuola, perché ormai i giochi, la play, stanno rovinando il cervello a tutti perché ci stanno molte ore dietro. (M. 17 anni, Roma)

Complessivamente, tra i ragazzi intervistati è diffusa la consapevolezza circa la vulnerabilità dei loro coetanei che abbandonano la scuola o di quelli che si affacciano al mondo del lavoro prima di aver compiuto i 16 anni. In molti casi il dito è puntato sul comportamento degli adulti, dagli insegnanti ai datori di lavoro

Non è giusto perché ogni bambino o ragazzo deve fare la sua vita. (M. 14 anni, Torino)

Per approfondire ulteriormente il fenomeno del lavoro minorile sono state condotte anche interviste con alcuni esperti, accademici, e rappresentanti delle istituzioni e dei sindacati secondo cui le cause principali del lavoro minorile sono associabili ai contesti familiari e socioeducativi in cui i minori vivono e in particolare alla condizione di povertà e di esclusione sociale, che si tramanda di generazione in generazione.

Inoltre, sottolineano gli esperti intervistati, la crisi economica ed energetica legata alla pandemia prima e al conflitto in Ucraina poi, potrebbe spingere molti minori ad intraprendere percorsi lavorativi prima dell’età minima consentita e accettando anche condizioni di sfruttamento, per far fronte ai bisogni economici delle famiglie.

La recessione, non generando nuova occupazione, può spingere i minori svantaggiati ad intraprendere attività lavorative illegali, gestite dalla criminalità. (Daniele Checchi)

Secondo gli interlocutori è altresì fondamentale considerare un altro elemento di criticità che influisce sull’insuccesso formativo e sul successivo abbandono degli studi, vale a dire l’inefficacia dei programmi di orientamento e formazione, che sembrano essere poco incisivi e non in grado di rispondere ai bisogni specifici dei minori.

[L’orientamento e l’avvicinamento al lavoro dovrebbero essere] finalizzati a formare cittadini emancipati e consapevoli, capaci di interpretare la realtà e di adattarsi ai suoi mutamenti. (…) è centrale la creazione di un sistema di formazione che consenta a tutti di continuare ad apprendere e ad ampliare le conoscenze, le capacità e le competenze per tutto l’arco della vita. (Maurizio Landini)

Gli esperti concordano anche nel sostenere che ci sia ancora molto da fare per combattere il fenomeno del lavoro minorile, dell’abbandono scolastico e dell’inattività, e garantire a tutti i minori opportunità di crescita educativa e di prospettive professionali di qualità.

Imparare e fare devono diventare un circuito virtuoso. Sempre considerando che la scuola non deve formare i ragazzi unicamente per mandarli a lavorare, ma formarli a capire il mondo, dare loro una base culturale, cercare il proprio posto nella società, il che implica anche conoscere e sapere agire nel mondo del lavoro. (Alessandro Rosina)

Le risorse messe a disposizione dal PNRR, anche se non sufficienti, possono favorire la messa in atto di politiche più incisive di contrasto alla dispersione scolastica e al fenomeno dei NEET, così come il lavoro minorile. Ma il problema principale, rispetto a queste e alle altre risorse messe a disposizione da Governo e Regioni, riguarda la capacità di attrarre e pianificare le stesse da parte dei territori maggiormente svantaggiati.

Inoltre, è essenziale creare un sistema di rilevazione nazionale del dato relativo al lavoro minorile, a livello granulare e territoriale, con analisi continuative che lo mettano in relazione ai contesti socioeconomici e familiari, alla dispersione e al fenomeno dei NEET.

Da studioso, penso che sia fondamentale comprendere quanti casi positivi o situazioni positive ci sono e quali sono le condizioni per fare politiche efficaci per contrastare il fenomeno della povertà minorile, della dispersione e dei NEET. (Daniele Checchi)

Focus sui servizi della giustizia minorile

In collaborazione con il Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità del Ministero della Giustizia, è stata condotta anche un’analisi relativa ai minori e giovani adulti nei circuiti penali, con l’obiettivo di indagare e comprendere le esperienze di lavoro minorile di questi giovani in connessione ad altri fenomeni come la dispersione scolastica, la condizione di inattività sia professionale che formativa e il coinvolgimento in circuiti illegali.

In totale questa indagine ha coinvolto 660 ragazze e ragazzi in tutto il territorio nazionale, il 55% intercettato presso gli USSM (Uffici di Servizio Sociale per Minorenni), il 36% presenti in IPM (Istituti Penali Minorili) e Comunità, e il 9% in CDP (Centri Diurni Polifunzionali).

Tra coloro che hanno svolto lavoro minorile prima dell’età legalmente consentita, il 97,2% è composto da maschi e il 75,6% da cittadini italiani. A differenza dei dati emersi nell’indagine principale, in questo caso la maggior parte dei percorsi di lavoro minorile sono intrapresi autonomamente dai minori. Il 62,4% dei minori e giovani adulti coinvolti nell’indagine ha dichiarato di aver lavorato più o meno tutti i giorni e il 28,8% qualche volta a settimana. Per i ragazzi inseriti nei percorsi di giustizia minorile, quindi, il fenomeno del lavoro minorile sembra essere particolarmente intenso sia dal punto di vista delle diverse esperienze svolte che della quantità di tempo dedicato alle stesse.

Circa il 62% degli intervistati che ha svolto attività lavorative prima dell’età legale consentita ha lavorato in orario notturno oppure ha svolto mansioni da loro ritenute pericolose o ancora ha svolto attività in maniera continuativa e durante i giorni di scuola. In particolare, più di un ragazzo su cinque (21,7%) ha affermato di aver svolto un lavoro pericoloso e tra questi il 22% ritiene che non siano state date informazioni o istruzioni relative ai rischi sul luogo di lavoro.

Alcuni operatori della Giustizia Minorile dichiarano di assistere, negli ultimi anni, ad un generale abbassamento dell’età degli autori di reato. Tra le molte difficoltà riscontrate, un tratto che spesso accomuna questi minori riguarda la sofferenza e la fragilità psicologica.

Rileviamo un costante aumento di ragazzi minori con disturbi della personalità e psichiatrici (…) molto importanti che necessitano di un approfondimento, una valutazione da parte dei servizi della neuropsichiatria. (Operatore GM)

Tra i minori coinvolti nel circuito della giustizia, poi, sono frequenti i casi di abbandono precoce della scuola, così come percorsi di insuccesso scolastico che si traducono in un numero elevato di assenze e bocciature.

Non mi piaceva la scuola. Mi seccava andarci. La odiavo, non avevo testa, mettiamola così. Adesso me ne pento. Vedo la mia ragazza. Vedo lei che è più disciplinata. Io sono più ignorante di lei. La scuola è molto importante. Se studi avrai un futuro migliore. (M., 19 anni)

Conclusioni e raccomandazioni

Il fenomeno del lavoro minorile non accenna a diminuire e l’indagine ha evidenziato il suo legame con la dispersione scolastica. Per prevenirlo e contrastare anche la dispersione scolastica è necessario mettere in campo una pluralità di azioni che portino a potenziare o attivare sistemi di intercettazione e monitoraggio del fenomeno, che diano sostegno economico alle famiglie e ai minori in condizioni di povertà e che sostengano la scuola nell’accompagnare gli studenti nella costruzione del loro futuro. È poi indispensabile promuovere la consapevolezza dei danni prodotti da un inserimento lavorativo troppo precoce e irregolare.

Servono poi alcune azioni specifiche da mettere in campo al più presto. Va nominata la Commissione Parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza e bisogna fare in modo che questa proceda ad avviare un’indagine conoscitiva sul lavoro minorile finalizzata all’adozione di provvedimenti tesi a prevenire e contrastare il fenomeno. Serve un’indagine sistematica e periodica sul lavoro minorile da parte dell’ISTAT, che prenda in considerazione tutte le forme di lavoro minorile (anche il più recente fenomeno del lavoro online) e che individui e definisca indicatori di "intensità dello sfruttamento” lavorativo dei minorenni e analizzi i fattori di rischio a livello territoriale. Bisogna assicurare la formazione degli enti preposti all’identificazione e assistenza di minori infrasedicenni esposti al lavoro minorile, con un approccio child-friendly, transculturale e secondo la prospettiva di genere. Va garantita l’elaborazione, da parte dei Comuni, di un Programma Operativo di prevenzione e contrasto del lavoro minorile e della dispersione scolastica che coinvolga le istituzioni, i servizi e gli attori del territorio e che consideri i rischi di sfruttamento minorile legati a genere, origine e condizione di marginalità socioeconomica. Bisogna introdurre piani di sostegno individuale – le doti educative - nell’ambito delle misure di contrasto alla povertà delle famiglie con minori; promuovere la formazione di studenti e studentesse sui diritti nel mondo dei minori; prevedere all’interno dei percorsi di orientamento attività di formazione e informazione sui servizi e le opportunità che Stato, Regioni e Comuni mettono a disposizione per garantire il diritto allo studio; e, infine, promuovere politiche economiche, industriali e del lavoro che favoriscano un mercato in grado di accogliere i giovani, offrire percorsi di qualità, creare prospettive di formazione e specializzazione in settori emergenti.

Proprietà artistica e letteraria riservata ©Save the Children

A cura di: Patrizia Luongo.

Fotografie: Wendy Elliott

Foto di copertina: Wendy Elliott

Pubblicato da Save the Children, Aprile 2023